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Durante le ultime settimane inciampo spesso nell’espressione inglese “intersectional environmentalism” e, notando l’uso della parola “intersezionale” come per la corrente femminista che si identifica tramite il sovrapporsi di varie identità e dinamiche sociali, ne cerco incuriosita la definizione.
La trovo in pochi minuti sul sito ufficiale del movimento, che definisce l’ambientalismo intersezionale come una versione inclusiva dell’ambientalismo in quanto sostiene la giustizia sociale al pari della protezione del pianeta, ritenendo che le ingiustizie che le comunità emarginate ed il pianeta subiscono siano interconnesse.
La definizione è stata sviluppata da Leah Thomas, una giovane attivista nera che nel giugno di quest’anno ha rilasciato un’intervista (reperibile sul sito di Vogue) spiegando come abbia sempre trovato assurdo il ragionamento per cui lottare per le persone marginalizzate fosse considerato opzionale alla lotta per la giustizia climatica.
Leah è fortemente intenzionata a dimostrare quanto il movimento “Black Lives Matter” e l’ambientalismo siano strettamente legati, due facce della stessa medaglia.
“Non sono più stata in grado di separare la mia identità dal mio ambientalismo quando ho scoperto la giustizia ambientale, quell’intersezione tra giustizia sociale ed ecologismo, dove viene anche considerata la disuguaglianza nel degrado ambientale”
È durante i suoi studi universitari che l’attivista è rimasta sconvolta nel reperire dati estremamente chiari su quanto le comunità nere ed a basso reddito siano state sempre quelle maggiormente esposte ad una scarsa qualità dell’aria, dell’acqua e quanto fosse statisticamente più probabile che vivessero in quartieri ad alto rischio ambientale, esposti a rifiuti tossici ed in prossimità di discariche. E sono proprio queste disparità che provocano crisi sanitarie ed ambientali che cadono lungo le linee razziali nelle comunità degli Stati Uniti.
Nel discutere i cambiamenti climatici e la crescente frequenza di catastrofi naturali, anche Georgiana Bostean, ricercatrice di scienze ambientali, salute e politica presso la Chapman University, conferma: “Gli impatti non sono sostenuti in modo equo da tutte le popolazioni”. Durante l’uragano Katrina, ad esempio, il danno peggiore fu riscontrato nei quartieri con predominanza nera, comunità che si sono riprese più lentamente ed inadeguatamente rispetto a quelle con prevalenza bianca e con un reddito più alto.
Ed allora è importante fermarsi e chiedersi per cosa si stia lottando. Perché quando si cerca di diventare migliori ambientalisti, è fondamentale considerare quali comunità hanno maggiori probabilità di essere esposte più rapidamente alle ramificazioni dei cambiamenti climatici e conseguentemente alle ingiustizie sociali.
E forse non a caso il mio background in diritti umani mi ha avvicinato al mondo della sostenibilità, perché come Leah sono profondamente convinta di quanto non si possa avere giustizia per la Terra senza prima ottenere quella per gli individui che la abitano. E dunque la ringrazio per aver dato un nome al movimento di cui tutti dovremmo indistintamente esser parte.
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